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La poliedrica attività di Nanda Vigo, divisa tra arte, architettura e design, viene analizzata da Marco Meneguzzo come un unitario progetto di vita, nel grande solco della Modernità europea. Protagonista del clima culturale milanese degli anni sessanta, Vigo realizza i suoi Cronotopi dal 1963, in pieno spirito del gruppo transnazionale ZERO. Partecipe delle avanguardie, l'artista elabora un proprio pensiero sulla luce, la trasparenza, l'immaterialità che deve costituire l'opera e l'ambiente abitabile dell'essere umano.
Nella loro versione degli anni sessanta, i Cronotopi sono la quintessenza del suo modo di intendere l'arte: una situazione esistenziale che consente di vivere esperienze trascendenti, oltre la materialità del quotidiano per riuscire a percepire fisicamente una realtà più alta, una sintonia universale attraverso la contemplazione, la smaterializzazione, la comunione con l'Altro.
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